PROPOSTE D’AVVENTO 2013

Dicembre, l’ultimo mese dell’anno civile, è anche il periodo di inizio dell’anno liturgico con le quattro domeniche di avvento. E mi chiedi giustamente come vivere questo tempo che nelle chiese d’occidente precede la festa del Natale. Provo a risponderti. Sì, talora si ha la tentazione di fare dell’avvento la “preparazione” al Natale. Come se avessimo bisogno di un tempo per disporci a commemorare la venuta storica di Gesù nella carne. Ora, se siamo cristiani, crediamo non solo che Dio si à fatto uomo in Gesù ma anche che è risorto e verrà nella gloria. La venuta nella carne di Gesù è la garanzia della sua venuta futura nella gloria. Non ripetono ogni domenica le chiese queste parole: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”? Il centro della nostra fede, lungi dall’essere solo il ricordo dell’incarnazione, è l’evento della resurrezione, che ci apre a questa speranza iscritta nella promessa del Signore che chiude le Scritture: “Sì, vengo presto!” (Apocalisse 22,20).

La certezza dell’avvento del giorno del Signore dovrebbe fare del tempo di avvento non l’attesa pia della sera in cui rievocheremo la nascita di Gesù nella mangiatoia di Betlemme, ma l’attesa ben più forte e radicale della venuta gloriosa del Signore che riconcilierà la creazione intera in Dio. E di essa la festa del Natale è per così dire il pegno storico. L’invocazione liturgica Marana tha, “Vieni Signore!” scandisce il tempo di avvento. Con questo appello a Dio i cristiani fanno l’esperienza dell’attesa del Signore che viene. Così, a mia volta, voglio farti una domanda che già poneva Teilhard de Chardin: “Noi cristiani, ai quali dopo Israele è stato affidato il compito di mantenere sempre viva sulla terra la fiamma del desiderio, che cosa abbiamo fatto dell’attesa?”. Siamo cercatori di Dio non solo nei nostri ricordi, nel nostro passato, ma nel nostro futuro segnato da una speranza certa? Sì, dobbiamo riconoscere che il cristiano è “colui che attende il Signore” ( John Henry Newman). Già nel iv secolo Basilio di Cesarea diceva che proprio del cristiano è “vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto, sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene”. Attendere non è un atteggiamento passivo nè un’evasione ma un movimento attivo. L’etimologia latina della parola “attendere” (adtendere) indica una “tensione verso”.

Come azione non si limita all’oggi ma agisce nel futuro, volgendo il nostro spirito verso l’avvenire. Certo, nel nostro tempo, sovente contrassegnato da efficienza, produttività e attivismo, attendere sembra impopolare e irresponsabile. Ma per la visione cristiana del tempo il futuro non à uno scorrere uniforme del tempo all’infinito: si distingue per ciò che Cristo vi compirà. Senza questa chiara comprensione, ci minacciano il fatalismo o l’impazienza. Rinunciando alla dimensione dell’attesa, non solo ridurremmo la portata della fede ma priveremmo anche il mondo della testimonianza della speranza a cui ha diritto. Attendere il Signore impone al cristiano di saper pazientare. L’attesa è l’arte di vivere l’incompiuto e la frammentazione, senza disperare. È la capacità non solo di reggere il tempo, di perseverare ma anche di sostenere gli altri, di “sopportare”, cioè di assumerli con i loro limiti e di portarli. L’attesa apre gli uomini e le donne all’incontro e alla relazione, chiama alla gratuità e alla possibilità di ricominciare sempre. L’attesa non è segno di debolezza, ma di forza, stabilità, convinzione. È responsabilità. Animata dall’amore, l’attesa diviene desiderio, desiderio colmo di amore, di incontrare il Signore. Ti invita alla condivisione e alla comunione, ti spinge a dilatare il cuore alle dimensioni della creazione intera che aspira alla trasfigurazione e attende cieli nuovi e terra nuova. Per tutti questi motivi, il tempo di avvento non è tempo di preparazione ma, molto di più, di attesa con e per gli altri.

 

Qui potete trovare tutte le proposte che la parrocchia propone per vivere con fede il tempo dell’Avvento

 

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