Prima settimana di Quaresima

Tre momenti significativi con il Vescovo Francesco

Domenica – Celebrazioni Eucaristiche in tv

ore 07.30: Santa Messa – Tele Padre Pio (canale 145)
ore 08.30: Santa Messa – TV 2000 (canale 28)
ore 09.59: Santa Messa – TV 2000 (canale 28)
ore 10.00: Santa Messa – Rete 4
ore 10.30: Santa Messa – Bergamo TV (canale 17) – celebrata dal Vescovo di Bergamo, Francesco Beschi
ore 11.00: Santa Messa – RAI 1
ore 11.00: Santa Messa – RAI 3 – celebrata dall’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini
ore 11.30: Santa Messa – Tele Padre Pio (canale 145)
ore 18.00: Santa Messa – Tele Padre Pio (canale 145)

Libretto delle preghiere

La copia cartacea del libretto di preghiera per le famiglie si può ritirare in Chiesa Parrocchiale.

Preghiera dei ragazzi

Ascolta il messaggio che le catechiste hanno realizzato per tutti i ragazzi delle elementari e delle medie.

Materiale per adolescenti e giovani

Vista la chiusura dei nostri Oratori e la sospensione di tutte le attività, desideriamo accompagnare giorno per giorno gli adolescenti e i giovani nel cammino di preparazione alla Pasqua. In Quaresima, la Parola di Dio ci raggiunge nella quotidianità nell’incontro con l’altro.
Per questo, saranno caricati sui canali social dell’Oratorio e sul sito delle “card”, una per giorno della settimana, per riflettere e meditare in questo cammino.

Riflessioni per adolescenti e giovani

Dalla pretesa alla riconoscenza
Si rischia di vivere con la logica della pretesa:”Voglio, voglio… Mi devi” che fa emergere il primato della prestazione, del fare piuttosto che del dono, del ricevere. La posta in gioco è liberarsi dalle catene delle pretese per essere liberi di riconoscere i benefici ricevuti e sopratutto i benefattori della mia vita.

Spunti di riflessione
Sono grato per tutti i benefici che ricevo? Per questa settimana mi impegno a dire grazie a chi fa del bene alla mia vita…

Via Crucis

Indicazioni dei Vescovi lombardi

Per riflettere

Il rovescio del muro. Il coronavirus, noi e molto da ricordare

di Marco Tarquinio pubblicato sul quotidiano Avvenire di sabato 29 febbraio 2020 

Non è stato bello né comodo ritrovarsi nel tempo del coronavirus, anzi del «ceppo italiano del Covid-19». Ma è accaduto. E da qualche giorno noi italiani ci siamo resi conto che ogni muro ha il suo rovescio. Per davvero. E che per ritrovarsi dalla parte del rovescio basta un attimo – e un microscopico, inquietante e ancora indecifrabile inghippo.

Abbiamo cominciato a capire che la logica del muro, e dell’ognun per sé, è quanto di peggio si possa contrabbandare in un mondo in cui nessuno si ammala e si salva sovranamente da solo, dove nessuno nel proprio cantuccio – che si chiami Codogno o Vo’ o con qualche nome esotico – si può chiamare fuori e consolare. Perché è anche lì, anzi è proprio lì, su questa terra dell’uomo dove ogni periferia è ormai centro, che c’è il fuoco e magari s’accende un focolaio. 

Perché nessuno può stare alla finestra mentre si articola la sfida dell’umana fragilità. E poco importa, pur in realtà importando moltissimo, che questa eterna sfida riesploda a causa di virus o di ideologie odiose, di guerre o di un’ingiusta economia, di terremoti devastanti o per il clima in artificialmente accelerato cambiamento. Per quanto ci si creda assolti, ha saputo cantare De André, siamo per sempre coinvolti. E sebbene, qui e adesso, si stia parlando di un male sconosciuto, il coinvolgimento – o, se volete, la connessione, la reciproca dipendenza – è un bene che possiamo finalmente aver chiaro e che dobbiamo tener caro sino a tradurlo in fraternità in atto, in solidale con-cittadinanza in Italia e oltre. Unica seria e buona alternativa al muro, alla sua logica di esclusione e al suo inevitabile rovescio.

Quel rovescio dove non è stato bello né comodo ritrovarsi, ma istruttivo e persino salutare. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno di salute, fisica e morale. Salute di mani e menti pulite, preservata o ritrovata non solo e non tanto a forza di disinfettante antivirale, ma di limpido disinfestante dei pensieri e dei gesti torbidi e ostili che ci hanno avvelenato la vita, sconvolto le consuetudini e persino leggi del vivere civile e stravolto la faccia ben prima del fiorire di posti di blocco lungo la pianura padana e di mascherine su troppi nasi e bocche. Finora, infatti, quelli da guardare con sospetto e da additare con fastidio erano sempre altri, palesemente diversi da noi. In genere scuri di pelle e poveri di tutto. Ora, lo stiamo scrivendo da giorni, scopriamo che “gli altri”, i diversi, siamo noi. Noi, fino a ieri quelli delle 186 nazioni aperte e persino spalancate davanti al nostro passaporto. 

Noi, incredibilmente riprecipitati nella condizione di gente da fermare alle frontiere, da bloccare al limitare di porti e aeroporti, da evitare in patria e all’estero. Noi, additati come spalloni e taxisti del coronavirus. E, persino, come “appestati”, anche se veniamo da un Paese di quasi sessanta milioni di abitanti, sino a questo momento con oltre cinquantanove milioni e novecento e tanti mila non contagiati (e con più guariti che schiantati anche dal Covid-19), e ancora dotato – nonostante sciupii di persone e di quattrini – di uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.

Ma le scoperte-rivelazioni non finiscono qui. Perché ogni rombo irresponsabile di titoli (di comizio e di giornale) si è dimostrato con plastica e drammatica potenza la colonna sonora anticipata di un crollo di titoli (di Borsa) e di credibilità per i titolati di un irriflessivo potere politico o mediatico. Perché lungo questa Penisola, bella come sempre e disertata come poche altre volte nella sua storia, stiamo censendo una costellazione di luoghi comuni capovolti, a cominciare da quello di un cruciale pezzo del Nord che attrae, lavora e produce ridotto a una ferita aperta che da Sud si guarda con stupefatto timore. E perché più d’uno ha meglio capito il nostro ripetuto allarme: quando si fa “guerra alla solidarietà”, a pagare – in modi anche imprevedibili – sono sempre gli innocenti e i deboli di turno. Scriviamolo sul rovescio del muro. E ricordiamocelo.

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